Abbazia di Santa Maria in Insula – Cessapalombo (MC)

Scheda

Nazione: Italy
Regione: Marche
Provincia: Macerata (MC)
Comune: Cessapalombo
Localita’ o frazione: Monastero
Nome bene: Abbazia di Santa Maria in Insula o San Salvatore

Abbazia di Santa Maria in Insula - Cessapalombo (MC)
Abbazia di Santa Maria in Insula – Cessapalombo (MC) – luoghidelsilenzio.it

Cenni storici

Abbazia di Santa Maria in Insula – Cessapalombo (MC)

Abbazia di Santa Maria in Insula o San Salvatore.
Se non richiamasse all’attenzione per il campanile a vela e per il triforio del lato sud, sembrerebbe un casolare in disuso. Infatti, prima del suo abbandono definitivo, fu adibita a casa colonica e magazzino. Invece è un’abbazia che deve aver svolto un ruolo attivo nella formazione dell’Europa medioevale da parte degli ordini monastici. Si tratta dell’abbazia di Santa Maria in Insula (oggi San Salvatore) di Cessapalombo, sita a Monastero, a pochi metri dalla strada provinciale 91 che da Pian di Pieca conduce a Fiastra. Questa struttura nacque a cavallo tra il X e l’XI secolo, edificata – si dice – per opera di San Romualdo, probabilmente con materiali derivanti da una villa romana, usata in seguito come fortificazione a difesa dalle incursioni barbariche. L’architettura della chiesa è stata definita benedettina con inclinazioni ravennati o “adriatiche”, una cultura figurativa che trae origini dall’arte romana con sperimentazioni bizantine, interessata anche alle forme e alle curve orientali. La cripta possiede delle colonne in arenaria, munite di pregevoli capitelli scolpiti, tra i più antichi delle Marche. Il monastero si trovava lungo percorsi commerciali e spirituali, sull’itinerario che attraversava i Sibillini per giungere a Roma, ai confini dell’influenza delle potenti abbazie benedettine di Farfa e Casauria che possedevano ampi territori nelle Marche. Dai suoi 434 m s.l.m. dominava la vallata del Fiastrone, per certi versi il convento era meno isolato di oggi. Fu danneggiato dai forti sismi del 1279, del 1799 e altri, subendo numerosi rimaneggiamenti, anche grossolani, che hanno stravolto lo stile originale. Un’abbazia interessante dal punto di vista storico-architettonico, oggetto delle tesi di laureandi delle facoltà di Architettura dell’Università di Roma (Simona Raponi), di Firenze (Adriana Malpiedi) e di Pescara che hanno dovuto affrontare la scarsità di dati documentali verificabili, se non inesistenti. Una serie di circostanze ha fatto sì che l’antico monastero non sia mai stato restaurato razionalmente e ancora oggi resti inagibile e dimenticato dai più. Padre Natale Sartini, frate minore e parroco di Monastero con la passione per gli scavi, s’impegnò a ridare vita a questi luoghi abbandonati, segno di un’intensa spiritualità. Negli anni ’60 e ’70 fece tutto il possibile per riportare alla luce tutta l’abbazia, compresi i ruderi dell’ala nord sepolti dalla terra, per restaurarla e renderla agibile. L’energico frate favorì la costruzione di strade tra cui la Monastero – San Liberato e riaprì la grotta dei Frati. A causa della mancanza di fondi e di un progetto organico, riuscì solo in parte nell’intento: fu lasciato solo dalla Soprintendenza. La gente del luogo, invece, collaborò con diverse giornate lavorative. In quel periodo le monache Clarisse di Fermo ottennero di trascorrere nella parte abitabile dell’abbazia alcune settimane di vacanza per motivi di salute, ciò fino all’inizio degli anni ’70 quando costruirono un’abitazione vicino l’abbazia. Dall’inizio degli anni 1980 quando padre Natale partì, chi voleva visitare quest’abbazia la trovava chiusa: era utilizzata in parte solo nelle domeniche estive. Negli anni ’90 l’apertura estiva non fu più attuata, l’utilizzo fu ridotto al minimo e fu visitata solo da qualche gruppo di scout e dai ragazzi della gioventù francescana. Se si esclude il restauro del tetto, da quel periodo in poi non sono stati più eseguiti altri lavori per il consolidamento strutturale dello stabile. Gli ostacoli insuperabili sono stati il disinteresse anche da parte della Curia di Camerino, la mancanza di fondi e di un idoneo progetto. Coloro che avevano a cuore il restauro del monastero seguirono vari percorsi, mantenendo contatti frequenti per sensibilizzare la Soprintendenza e la Curia, cercarono fondi presso le banche e le comunità interessate alla riapertura. Nel 1996 fu interpellata la “Comunità Incontro” di don Pierino Gelmini, il quale accolse con entusiasmo la proposta di aprire un centro a Monastero, comprendente l’abbazia benedettina – camaldolese e la casa delle monache Clarisse (messa in vendita). Il sacerdote, rimasto colpito dalla bellezza del luogo e degli interni, ma anche dallo stato di abbandono, propose alla Parrocchia un contratto di comodato d’uso gratuito della durata di cinquanta anni. In cambio la Comunità Incontro s’impegnava al restauro completo del monastero e alle spese di manutenzione. Dava alla Parrocchia la facoltà di utilizzare la chiesa e la cripta quando voleva e s’impegnava a tenere aperta l’abbazia ai visitatori. Nelle trattative pesò la mancanza di fiducia reciproca, l’impossibilità oggettiva di stabilire dei termini di tempo per il completo restauro, e l’avversione apparentemente immotivata nei confronti di questo progetto. Purtroppo non si concluse nulla: la durata del comodato fu considerata troppo lunga e gli interessati chiedevano assicurazioni sulla conclusione dei lavori di restauro. L’Amministrazione Comunale di Cessapalombo preferì dedicarsi ad altri siti. Il comodato dell’antica abbazia fu preso “d’ufficio” da ragni, topi e pipistrelli. Finché giunse il terremoto del 1997 che danneggiò ancora di più lo stabile, aprendo numerose crepe nell’abside e nella cripta rendendola inagibile. Nell’elenco delle opere da restaurare in seguito al sisma è stata collocata al n. 998: troppo indietro rispetto alla gravità della situazione e ad altre chiese che avevano subito danni minori. Il progetto di restauro post-sismico fu stilato dallo studio dell’arch. Giuseppe Bocci. Nel frattempo i costi si erano lievitati a causa di altri lavori, resisi indispensabili, anche in seguito alla stesura della tesi di laurea della dr.ssa Simona Raponi. Questi eventi sfavorevoli hanno fatto sì che al momento di finanziare il restauro non fossero più disponibili i quasi ottocentomila euro necessari. Anche il progetto inteso a realizzare un punto d’appoggio del Grande Anello dei Sibillini, per rilanciare la piccola frazione rimasta con una trentina di abitanti, non ha avuto seguito. Comunque l’itinerario di 120 km per ammirare gli ambienti naturali, i paesaggi e il patrimonio storico culturale del parco Nazionale dei Sibillini, segnalato e articolato in nove tratti, passa a Monastero. Da oltre un decennio, nella casa dove trascorrevano le vacanze le monache Clarisse fermane ha sede un centro della Comunità Incontro di don Pierino Gelmini. Alcuni ragazzi stanno uscendo dalla crisi esistenziale, superando il materialismo e l’ingannevole consumismo per comprendere il giusto senso della vita nella tranquillità bucolica della zona. Nella comunità si svolgono settimanalmente tre riunioni serali inerenti la casa, il lavoro e la formazione. In quest’ultima si tratta dei precetti della vita nel rispetto dei principi del vangelo, delle difficoltà e delle prospettive per il futuro. I residenti svolgono piccoli lavori di muratura, artigianato (producono icone e oggetti vari), dipingono, coltivano l’annesso orto, preparano la legna ed eseguono lavori di giardinaggio. I ragazzi tengono molto all’ordine perché da questo ne consegue un migliore assetto interiore della persona. Mi auguro che qualcuno raccolga l’eredità del buon padre Natale Sartini e s’interessi al restauro dell’abbazia per riportarla al suo antico splendore. Inoltre concordo con l’architetto Adriana Malpiedi quando nella sua tesi di laurea “San Salvatore di Monastero: Storia di una’Abbazia Romualdina nelle Marche” auspica che sia avviata una campagna di scavi archeologici sul lato sud dell’attuale edificio dove sarebbero sepolti i resti dell’antico monastero.
Febbraio 2008

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Già dal nome si evince che ci troviamo di fronte ad un edificio benedettino. Una grande Abbazia costruita sui ruderi di un edificio romano, forse una villa o un punto di ristoro lungo il tracciato verso Roma. Certo è che la specificazione “dell’isola” ci rimanda ad una delimitazione di zona attorno ad un sepolcro romano. Per alcuni studiosi le, strutture architettoniche lasciano presupporre che tra la costruzione romana e l’attuale, romualdina, esistesse una ulteriore chiesa databile alla fine del ‘ VIII secolo. San Romualdo costruì l’attuale abbadia intorno al 1000-1009 (sono questi gli anni in cui peregrinò per le terre camerti); ciò è attestato da San Pier Damiani riferendoci che in queste zone San Romualdo edificò tre abbadie:

– Val di Castro nel fabrianese
– Sant’Elena nella valle esina
– Tertium iuxta oppidum condidit Esculanum

alcuni storici pensarono ad una abbadia in Ascoli; ma quelli che sapevano che a San Ginesio l’attuale colle San Giovanni, “oppidum” Monastero, era allora chiamato “Esculanum” cioè luogo di querce, affermarono che la terza abbadia era la nostra in Monastero dell’isola o Santa Maria in insula. Il testo di San Pier Damiani fa supporre ad una comunità monastica preesistente collegata forse a Ravenna patria d’origine di San Romualdo(i torrioni degli angoli della chiesa confermerebbero questa supposizione). La travagliata storia della nostra abbadia fa registrare:
– l’abbandono dei monaci, dopo solo circa 50 anni dalla costruzione, per trasferirsi in San Ginesio ( chiesa di San Pietro, l’attuale San Francesco),
– il ritorno nel 1216,
– il nuovo abbandono nel 1281.
In tutte queste vicissitudini le strutture architettoniche e murarie subirono erosioni e crolli cui si cercò di porre rimedio con continui interventi di manutenzioni e ritocchi: ma si trattò per lo più di rabberci perché il monastero fu sempre povero.

Esterno
All’esterno , sul lato destro dell’edificio, durante i lavori di restauro condotti con perizia e passione dal Padre Natale Sartini vennero rinvenuti i ruderi di una seconda cripta. Dopo l’abbandono l’edificio che era a tre navate presentava problemi statici che imposero di trasformare la navata destra in dormitorio e di demolire la navata di sinistra e l’abside. L’esistenza di elementi costruttivi e architettonici documentano la presenza di una costruzione romana fortificata e dall’anno 700 di un piccolo tempio benedettino su cui fu eretta la chiesa di San Romualdo. La recente sovrapposizione di case coloniche sul lato destro, ha in parte modificato l’aspetto esterno del tempio. L’abbazia presenta tracce di 4 torri cilindriche agli angoli, due posteriori di pietra spugna di epoca tardo romana e due avanti di pietra rosata coeve alla chiesa romanica del XIII secolo. L’asperità e l’isolamento del luogo che da lontano guarda San Ginesio, giustificano la presenza della 4 torri cilindriche che hanno un’evidente funzione difensiva dagli assalti assai frequenti nella zona.

Interno
La struttura è con il presbiterio rialzato, l’apparato decorativo è costituito da vari affreschi di diverse epoche:
• L’affresco della cripta (Madonna con Bambino) di ispirazione ravennate è di scuola umbro-marchigiana databile nel 1300.
• le due nicchie contrapposte affrescate da Andrea De Magistris nel 1557:
La Vergine e la Maddalena
Santa Lucia e Santa Caterina
• Nel portico di entrata: a destra San Giorgio a cavallo che uccide il drago a sinistra una Madonna sono di difficile datazione.
• Un trittico, sovrastante l’altare maggiore, di Arcangelo di Cola del 1425 andò “bruciato” nel 1888.
Alla precedente chiesa romanica appartiene la cripta ben conservata e strutturata a cinque navatelle con volte a crociera scandite da colonne e pilastri con pregevoli capitelli decorati con motivi vegetali e animali stilizzati.
• Il monastero nel 1299 fece fondere una campana lunga e stretta in stile monastico che ancora oggi chiama a raccolta la comunità parrocchiale.
Durante i lavori di restauro molti sono i reperti di epoca romano-barbarica e ravennate rinvenuti.
Sono conservati in delle vetrine in attesa di un’autentica catalogazione per una eventuale esposizione.
Sotto il livello della navata centrale si può ammirare una magnifica cripta fitta di colonne coperte da volte a crociera ed interessantissimi capitelli in pietra d’lstria.
Locandina in loco

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