INFORMAZIONI


Scheda

Nazione: Italy
Regione: Marche
Provincia: Ancona (AN)
Comune: Sassoferrato
Localita' o frazione: Cabernardi
Nome bene: Miniera di Zolfo di Cabernardi

Cenni storici

Miniera di Zolfo di Cabernardi – Sassoferrato (AN)

Un grande ringraziamento va al Sindaco Ugo Pesciarelli e giunta Comunale per avermi autorizzato queste foto in data 16/07/2015.

Circa sette milioni di anni fa, durante l’era geologica del Miocene, in seguito all’abbassamento del livello marino, iniziò la deposizione gessoso-solfifera che diede forma ad una sinclinale estesa da Percozzone a San Giovanni. Gli strati di questa deposizione si trovano a Cabernardi in senso subverticale, ciò spiega lo sviluppo della miniera in profondità. L’importanza di questa formazione, che si presenta come un insieme di grandi bacini, aventi un’estensione che può raggiungere anche i 10 km., discende dal fatto che essa contiene abbondante zolfo allo stato nativo, il quale è stato oggetto di attiva ricerca e intenso sfruttamento industriale per molti decenni. Il lavoro nella miniera negli anni 1910-15 (Archivio Montedison)Lo studio della zona solfifera di Pergola e Sassoferrato, condotto effettuando rilievi geologici, era già in corso, come testimoniano ad esempio le cronache del 1884, da parecchi anni, che registrano concessioni di continuazione nell’indagine mineraria. Il bacino solfifero di Cabernardi forma un’ellisse allungata che si estende dal Torrente Cesano (Pergola) alla valle del Sentino (Sassoferrato). Lo sfruttamento della zona nord della falda orientale, la prima ad essere esplorata, diede luogo alla concessione Percozzone, nel 1877. Successivamente, fu indagata più a sud, dal signor Dell’amore, la zona detta Cafabbri, che risultò ancora più fortunata poiché si rinvenne uno strato verticale abbastanza potente e riccamente mineralizzato. Essa originò la Miniera di Cabernardi, attiva dal 1887 e in grado di produrre, fra il 1889 ed il 1899, 325.638 tonnellate di minerale dal quale si ricavarono 65.517 tonnellate di zolfo greggio.

A partire dal 1870, con l’occasionale scoperta della presesenza di minerali di zolfo in prossimità del piccolo borgo agricolo ai Cabernardi è iniziato lo sfruttamento minerario dell’area, dapprima su iniziativa della ditta tedesca Buhl -Deinhard, successivamente dalla “Società Miniere Solfare Trezza e Albani, infine dalla Società Montecatini (1917-1954). Il bacino minerario divenne uno dei più importanti poli per l’estrazione dello zolfo a livello europeo e diede impulso allo sviluppo sociale e demografico della zona: nel 1932, periodo del suo massimo sviluppo, risultavano impiegate 3.085 unità lavorative.

Le attività erano distribuite su circa 1000 ettari, suddivisi nelle diverse concessioni:

- le gallerie si estendevano per oltre 15 km e raggiungevano la profondità di 800 metri, 500 metri sotto il ivello del mare
- a Cabernardi i pozzi Donegani e Boschetti davano accesso alle gallerie di estrazione del minerale, nei calcaroni e nei forni GUI si svolgevano le attività di lavorazione e fusione
- a Vallotica , nella miniera di Percozzone, il minerale veniva estratto e fuso
- a Bellisio Solfare erano situate le raffinerie
- il sottosuolo di Caparucci era percorso dalle gallerie accessibili dai pozzi di Cabernardi.

La presenza della miniera ha originato un insediamento complesso dotato dei servizi per l’estrazione e lavorazione del materiale e ci quelli sociali ed organizzativi di supporto alla vita dei lavoratori, determinando una radicale trasformazioni dei luoghi e del paesaggio. L’alta mole dei pozzi, gli edifici in mattoni dei servizi di superficie una parte delle strutture dei forni, le abitazioni dei minatori, la chiesetta di Santa Barbara dedicata ai 130 morti sul lavoro, restano a testimoniare la storia della comunità, mentre la vegetazione ha ripreso possesso delle aree che le fotografie dell’epoca raccolte nell’Archivio Fotografico della Miniera ci mostrano desertificate e arse dall’anidride solforosa. La cessazione dell’attività per l’esaurimento del giacimento fu fortemente osteggiata dai lavoratori che nel 1952 occuparono la miniera per difendere il loro diritto al lavoro: il ridimensionamento delle possibilità di impiego in loco produsse un intenso fenomeno migratorio verso le miniere del Nord Europa ed una nuova trasformazione della società e del territorio. Su iniziativa della Associazione Culturale “La Miniera ONLUS” nel 1992 è iniziata la raccolta dei materiali esposti nel Museo. L’allestimento di una porzione della “Galleria della memoria” rappresenta un primo passo per la riqualificazione del Museo stesso e per la realizzazione di un più ampio progetto di valorizzazione nell’ambito del “Parco Nazionale delle Miniere di Zolfo” - che si propone la doppia finalità di conservare la memoria storica e di offrire nuove occasioni di sviluppo al territorio.

-------------------------------------

Il Parco archeominerario di Cabernardi, inaugurato il 5 luglio 2015, è una suggestiva struttura museale a cielo aperto che sorge in prossimità del piccolo centro del Comune di Sassoferrato, Cabernardi, appunto, sede tra il 1887 e il 1959, del più importante polo estrattivo dello zolfo d’Europa. Una realtà che, per lunghi anni, ha fatto da traino all’economia di un’ampia zona, da Sassoferrato, ad Arcevia, a Pergola ed oltre, in cui operavano in media circa milleseicento minatori, in massima parte impiegati in un duro e rischioso lavoro nel sottosuolo alle dipendenze della “Montecatini”, la Società proprietaria della miniera dal 1917 fino alla sua definitiva chiusura. La realizzazione del sito è stata fortemente voluta dal Comune di Sassoferrato e dall’Ente Parco dello zolfo delle Marche che hanno potuto beneficiare delle opportunità concesse dalla legge n. 93 del 23/3/2001 (art.15: “Disposizioni in materia di attività mineraria”). Il nuovo Parco archeominerario di Cabernardi è, di fatto, una pregevole realtà architettonico-ambientale che si estende su una superficie di circa due ettari di terreno. Grazie ad un minuzioso e complesso intervento di recupero, eseguito sotto la supervisione della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio delle Marche, parte dei manufatti che costituivano il nucleo operativo della miniera, sono ora nuovamente visibili. L’area è dominata dall’imponente pozzo “Donegani”, restituito al suo aspetto originario, da cui si calavano i minatori per accedere nelle estese e profonde gallerie scavate nel sottosuolo. All’interno del Parco si possono inoltre visitare la centrale termica e i calcaroni, delle enormi vasche con un piano fortemente inclinato, destinate al deposito del materiale grezzo estratto dal sottosuolo, da cui, attraverso l’attivazione di un processo di combustione, veniva successivamente prelevato lo zolfo in forma liquida. Visibili anche i forni “Gill”, manufatti in muratura di epoca successiva ai calcaroni, di cui avevano la stessa funzione, ma dotati di una tecnologia più avanzata. Particolarmente suggestivo anche il percorso che il visitatore si troverà ad affrontare all’interno di una galleria di collegamento tra i forni e i calcaroni. Perfettamente recuperato e percorribile il “piano inclinato”, ovvero la passerella di collegamento tra i due livelli dell’area, attraverso cui venivano sollevati e fatti transitare i vagoni carichi di materiale inerte. Un altro “gioiello” riportato alla luce è il deposito del gasolio, struttura seminterrata, di forma circolare, che è stata adibita ad auditorium, più precisamente a sala polifunzionale per conferenze, incontri e per l’accoglienza turistica, capace di ospitare oltre ottanta persone. Funzionale e adeguatamente descrittiva anche la segnaletica, realizzata sia all’interno, sia all’esterno del Parco. Dunque, una pregevole opera di recupero che consente di percorrere un suggestivo itinerario in un’area, circondata dal verde, attraverso cui il visitatore si trova ad essere idealmente calato in una realtà industriale di un’epoca ormai lontana. La nuova struttura completa significativamente l’altra realtà “storica” di Cabernardi, il Museo comunale della miniera di zolfo, al cui interno sono conservate numerosissime e significative testimonianze della vita di miniera.

-------------------------------------

Le miniere di Cabernardi e Percozzone

Quando si parla di Cabernardi il pensiero corre subito alla Miniera di Zolfo, scoperta il 16 aprile del 1886, diventata nel tempo il centro minerario più grande d'Europa, con una produzione massima di 60.000 Tonnellate di materiale estrattivo.

La punta massima degli operai ed impiegati occupati raggiunse il nr°di 2850. Il bacino minerario aveva una estensione di km. 3 di lunghezza, m.1.500 di larghezza e m.800 di profondità, con 15 gallerie e due pozzi di estrazione, profondi m. 460; mentre la Miniera aveva l'ultimo livello a m. 800, di cui 515 m. sotto il livello del mare.
Il complesso industriale venne smantellato del tutto nel 1959, anno ufficiale di chiusura della Miniera. Altri particolari sulla Miniera si possono attingere dal volumetto, dato alle stampe da Paroli Giuseppe e Marcucci don Dario nel luglio del 1992, a 40 anni dalla famosa occupazione della Miniera (anno 1952). L'attività estrattiva iniziò a funzionare intorno al 1860 quando - cosi racconta la leggenda - un contadino cercando di abbeverare le bestie su una pozza d'acqua, si accorse che queste non bevevano e che l'acqua era maleodorante. In un primo momento chiamò il parroco e questi a sua volta chiamò un esperto che decretò l'esistenza di una falda di minerale. Prese avvio cosi, nel podere del contadino, l'estrazione dello zolfo; prima con l'amministrazione da parte della famiglia tedesca Buhl - Deinhard, poi con la "Società Miniere Solfare Trezza e Albani ed infine nel 1917 con la Società Montecatini. Secondo esperti il minerale si formò nel Miocene, circa sette milioni di anni fa, quando in seguito all'abbassamento del livello marino inizi la deposizione gessoso - solfifera. Gli strati di questa deposizione si trovano a Cabernardi in senso subverticale e ciò spiega lo sviluppo della miniera in profondità. Il giacimento solfifero fu molto importante per la popolazione del luogo, poiché riuscì per circa novant'anni a dare benessere prosperità. Lo zolfo, una volta estratto dalla miniera, veniva raffinato o con il metodo del calcarone, o con quello dei forni Gill. Il primo consisteva nel riempire una specie di fornace conica inclinata, con pezzi di minerale misto a “ganga" (roccia).
Si procedeva collocando alla base del cono pezzi di maggiore dimensione e si continuava con quelli più piccoli fino al riempimento. Ultimata la carica si dava fuoco al tutto. Alcuni giorni dopo - ma il periodo variava a seconda della grandezza del calcarone - incominciava a colare il minerale. In questo modo si otteneva una prima raffinazione dello zolfo. Purtroppo il fumo, derivante dalla combustione (anidride solforosa), era talmente nocivo che nel raggio di vari km la vegetazione era pressoché inesistente. La società amministratrice dell'industria zolfifera fu costretta a rimborsare i contadini danneggiati. Il secondo metodo, quello dei forni Gill, rappresenta un perfezionamento del calcarone: la combustione invece di avvenire in una sola fornace veniva prima in una cella e poi nelle altre, dove i gas caldi venivano fatti passare. Lo zolfo liquido veniva colato in appositi stampi quadrati, i cosiddetti "pani", i quali venivano in parte mandati all'estero e in parte inviati, tramite teleferica, alla vicina raffineria di Bellisio. Prima dell'avvento della Montecatini, che fece della miniera una vera e propria industria, la discesa nel sottosuolo avveniva in maniera rudimentale. Con l'apertura di due pozzi - di cui uno ancora visibile - e l'installazione di argani a vapore, gli operai migliorarono di molto le loro condizioni lavorative, soprattutto perché‚ furono adottati gli impianti di aerazione. Nelle gallerie infatti i minatori dovevano difendersi dal grisou (combinazione di gas metano con ossigeno), dal gas solfidrico e dal calore che sprigionavano le rocce. L'ossigeno all'interno della miniera veniva utilizzato non solo dagli uomini, ma anche dagli animali e dalle lampade. La ventilazione artificiale permetteva non solo di lavorare meglio spendendo meno fatiche, ma anche di evitare esplosioni, purtroppo frequenti nel sottosuolo. Era sufficiente che l'aria della miniera contenesse una percentuale di grisou (dal 5 al 14%) affinché, con lo scoppio di una mina o l'accensione di una lampada, succedesse l'irreparabile. Anche con l'arrivo dell'elettricità il tasso di gas nel sottosuolo continuava ad essere misurato con una lampada a benzina; quando questa si spegneva segnalava la mancanza di ossigeno. La miniera rappresentava l'unico modo - nella zona - di lavorare e guadagnare decorosamente. Il procedimento dell'estrazione non era semplice: una volta individuata una falda di minerale, era necessario tracciare nel sottosuolo una galleria centrale e a scopo precauzionale lasciare delle colonne o pilastri di sostegno al fine di evitare il franamento del sotterraneo. A mano a mano poi venivano abbattuti con il martello pneumatico per prelevarne lo zolfo e al loro posto venivano inserite delle ripiene o brusaie intrise d'acqua. Il minerale veniva caricato nei vagoni e portato alla discenderia o pozzo da dove veniva trasportato dall'argano a vapore. Di questa macchina restano parti di corda del sostegno delle gabbie. Nel 1952 ci fu una grande agitazione sindacale e l'occupazione della miniera. I minatori protestarono per impedire ottocentosessanta licenziamenti e la liquidazione dell'industria zolfifera. Gli occupanti, circa duecento, restarono nel sottosuolo a cinquecento metri di profondità per quaranta giorni. Quando uscirono furono tutti licenziati. A nulla valsero gli sforzi del segretario generale della C.G.I.L., Giuseppe Di Vittorio, tesi a salvare i loro posti di lavoro. Prima della chiusura definitiva (5 maggio 1959), furono collocati in pensione circa cento operai e più di trecento furono trasferiti. Solo una piccola parte rimase a Cabernardi per assicurare la chiusura dell'impianto, mentre gli altri vennero licenziati.


LINK UTILI



GALLERY


Photo Gallery A.D. 2015

Photo Gallery A.D. 2019


DOVE SI TROVA


Simple Map

Condividi su Facebook